Impiantare una protesi alla spalla si rende necessario quando l’artrosi che colpisce l’articolazione ha raggiunto un livello di gravità non più gestibile attraverso i trattamenti conservativi. Nei casi in cui all’artrosi sia associata la lesione dei tendini della cuffia dei rotatori, l’impianto più adatto è la protesi inversa, così chiamata perché ricostruisce l’anatomia articolare invertendo concavità e convessità. Vediamo nel dettaglio.
Anatomia della spalla
La spalla è un’articolazione straordinaria perché permette di compiere i movimenti più vari e complessi. Quando parliamo di spalla ci riferiamo in realtà non a una, ma a ben cinque articolazioni, che distinguiamo in due categorie: “vere” cioè di movimento e “false” cioè di posizionamento. Tra le articolazioni di movimento la principale è la gleno-omerale, una enartrosi cioè una di quelle articolazioni costituite da una parte sferica (in questo caso la testa dell’omero) e una concava che la contiene (in questo caso la glena cioè una cavità presente sulla scapola). Si tratta di un tipo di articolazione che permette una grande mobilità e la cui stabilità è garantita da diversi elementi, tra cui i tendini della cuffia dei rotatori che formano una vera e propria “fasciatura” che stabilizza la testa dell’omero all’interno della cavità che la contiene.
Quando serve la protesi?
L’impianto di una protesi di spalla è indicato nei casi in cui l’artrosi, cioè il consumo della cartilagine articolare, è giunta a un livello di gravità tale da aver già intaccato il tessuto osseo e la sintomatologia dolorosa non è più gestibile attraverso le terapie conservative. Altre patologie che possono richiedere l’impianto di protesi di spalla sono:
- artrite reumatoide
- osteonecrosi
- artropatia della cuffia dei rotatori
- gravi fratture.
Nei casi particolari in cui all’artrosi sia abbinata la rottura dei tendini della cuffia dei rotatori, l’impianto più adeguato è la protesi inversa che consente di utilizzare il muscolo deltoide per sollevare il braccio visto che i muscoli della cuffia hanno perso la loro funzionalità.
La protesi inversa
La protesi inversa è una soluzione relativamente recente, ma allo stesso tempo ben consolidata. Fu introdotta in Francia dal dottor Paul Grammont ed è utilizzata in Europa già dal 1985 mentre negli Stati Uniti è stata approvata soltanto nel 2003.
Come accennato sopra, la protesi inversa è strutturata in modo tale che le componenti protesiche siano invertite: la parte concava è collocata infatti sulla testa dell’omero mentre la sfera viene posizionata sulla scapola (glenosfera). Questa particolare struttura – che è il contrario rispetto all’anatomia originale dell’articolazione e rispetto alle classiche protesi totali – presenta un grande vantaggio nei casi di lesione della cuffia dei rotatori perché consente di utilizzare il muscolo deltoide per sollevare il braccio al posto della cuffia stessa.
Il candidato più comune per questo tipo di intervento è un paziente in genere sopra i settant’anni con artrosi che provoca dolore nonostante i trattamenti farmacologici, le infiltrazioni e la fisioterapia, e con lesioni irreparabili della cuffia dei rotatori che comportano perdita di forza e funzionalità articolare. Anche gli esiti di fratture complesse con lesioni tendinee associate possono essere trattati con questa tecnica così come alcuni casi di revisione di protesi tradizionali che non hanno avuto successo.
La riabilitazione
Come per tutti gli interventi di questo tipo, la riabilitazione post chirurgica ricopre un ruolo importantissimo a tal punto che un intervento non può dirsi perfettamente riuscito se non dopo il periodo dedicato alla fisioterapia. In caso di protesi inversa questa fase va considerata addirittura più importante perché serve a educare il muscolo deltoide alla sua “nuova” funzione. La riabilitazione serve inoltre a recuperare la forza, la mobilità, la funzionalità articolare e la coordinazione e necessita di tempi abbastanza lunghi e di un percorso che, è bene esserne consapevoli, non esclude del tutto il dolore.
È dunque fondamentale che il paziente che si è sottoposto a questo tipo di intervento rispetti il protocollo consigliato dal fisioterapista e che altresì eviti di compiere sforzi troppo gravosi sollevando pesi superiori ai 2,5 kg per i primi sei mesi e in generale escluda i lavori troppo duri e ripetitivi che coinvolgono la spalla e le braccia.