Traumi e lesioni sportive possono portare alla formazione dell’artrosi. Dalle terapie conservative a quelle chirurgiche, il dottor Andrea Vicario, ortopedico, spiega come affrontare la malattia e tornare alla vita sportiva di prima.
L’artrosi, patologia degenerativa della cartilagine delle articolazioni, può comparire anche in seguito a traumi e lesioni sportive non curate o non risolte completamente. In questo caso, si parla di artrosi secondaria, mentre per artrosi primaria si intende quella che si forma per ragioni congenite, ovvero senza che ci siano dei fattori determinanti che ne provochino la comparsa. Nel caso di artrosi secondaria, le articolazioni più a rischio sono anca, ginocchio e caviglia, essendo quelle su cui si esercita più carico durante l’attività sportiva. L’artrosi secondaria si manifesta con gli stessi sintomi della primaria ovvero dolore e rigidità di movimento. In presenza di questi sintomi, lo sportivo deve recarsi da uno specialista affinché venga effettuata la diagnosi, vengano individuate le cause e si possa iniziare la terapia. «Inizialmente, la cura dell’artrosi post-traumatica può prevedere la terapia conservativa – spiega l’ortopedico -.
La terapia conservativa di tipo farmacologico ha l’obiettivo principale di ridurre il dolore attraverso l’assunzione di farmaci analgesici e antinfiammatori, somministrati per via orale, intramuscolare o cutanea. In alcuni casi si utilizzano infiltrazioni di acido ialuronico o cortisone. Talvolta, si consiglia la terapia con applicazione di creme locali, sempre finalizzate alla riduzione del dolore. Queste ultime, tuttavia, non si sono rivelate particolarmente efficaci. Se la terapia conservativa fallisce, bisogna intervenire con altri tipi di trattamenti».
Al momento, le cure più promettenti per curare l’artrosi post-traumatica sono l’artroscopia e le infiltrazioni con cellule staminali. L’artroscopia è una tecnica che cura l’artrosi intervenendo direttamente nell’articolazione. Essendo mininvasiva, è possibile rispettare al massimo l’integrità dei muscoli, delle ossa e dei tendini circostanti alla parte di articolazione danneggiata.
Questa tecnica ha raggiunto livelli di accuratezza molto elevati, e la maggior parte degli sportivi risolve il problema dell’artrosi grazie all’artroscopia.
Per quanto riguarda le cellule staminali mesenchimali, la particolarità di questa cura è che si interviene per stimolare il processo naturale di rigenerazione della cartilagine. Le cellule mesenchimali vengono prelevate dal tessuto adiposo o dal grasso del paziente, subiscono un processo di microframmentazione in cui si eliminano componenti infiammatorie e poi vengono infiltrate nella parte dell’articolazione danneggiata. Tutto il procedimento è molto rapido (circa mezz’ora) e non richiede nessun ricovero post-operatorio. Il paziente, infatti, torna a casa subito dopo l’intervento e può già riprendere a camminare, inizialmente con l’ausilio di stampelle.I benefici dell’infiltrazione di cellule staminali non sono avvertiti nell’immediato, ma andranno ad aumentare progressivamente nel corso dei sei mesi successivi all’intervento.
«Se il paziente non trae beneficio nemmeno dalle tecniche mininvasive, e la degenerazione della cartilagine ha raggiunto uno stato molto avanzato per cui il paziente non riesce più a compiere alcun movimento – spiega l’esperto – l’impianto di protesi è una soluzione efficace per la cura dell’artrosi. Con la protesi, si sostituisce l’intera articolazione danneggiata, anche se, per il ginocchio, esistono delle protesi “mono” che sostituiscono solo il compartimento colpito dall’artrosi, lasciando intatti quelli che non sono ancora stati coinvolti dalla patologia. Dopo l’impianto della protesi il paziente deve sottoporsi a un programma di riabilitazione per il recupero del movimento e del tono muscolare. Generalmente, sono necessari sei mesi prima di tornare a svolgere normalmente la vita quotidiana e attiva di prima.
Per quanto riguarda lo sport, la protesi non implica un abbandono totale dell’attività sportiva. Saranno da preferire alcuni sport come il nuoto, lo sci, il tennis, il golf, l’escursionismo, piuttosto che la corsa o gli sport di contatto. Ad ogni modo, la storia di ogni paziente è diversa e sarà, quindi, diverso anche il suo percorso riabilitativo».